L'antipirateria dice: la proprietà privata è un furto
                     di Emmanuele Somma. Secondo queste moderne teorie
                     estremistiche del copyright la proprietà privata di un bene non è
                     sufficiente per permettere all'acquirente di poterne disporre
                     liberamente, neppure tra le proprie mura domestiche
 

                                   06/06/01 -  Prima di proseguire nella lettura dell'articolo
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                     Web - Mai avrebbe pensato il filosofo rivoluzionario
                     francese Pierre-Joseph Prudhon (1809-1865) che le
                     sue, invero un po ' radicali, idee riuscissero a trovare
                     quale paladino instancabile, quasi un secolo e mezzo
                     dopo la sua morte, il variegato fronte dell'antipirateria
                     composto, senza stare troppo a sottilizzare tra le
                     etichette audio-video-software, da grossi nomi come
                     la BSA, l'IIPA, la MPAA, la RIAA e, in Italia, Fapav,
                     FPM, SIAE e Ordine dei Giornalisti, nonché
                     assurgere a nume tutelare di poche, ricchissime, e molto agguerrite, multinazionali
                     dell'intrattenimento, dello sfruttamento dei diritti economici delle opere d'ingegno o dei
                     monopoli del software, come le grandi etichette musicali, i giganteschi editori
                     multimediali e gli immensi produttori di software proprietario, con Microsoft in prima
                     fila. Scherzi del destino.

                     Autore e principale finanziatore di un sistema di prestito personale senza interessi
                     ritenuto uno strumento essenziale per realizzare la giustizia sociale, l'agitato
                     contestatore non si pose grossi problemi a salire sulle barricate insurrezionali parigine
                     del 1848, né di criticare "da sinistra" il morbido comunismo marxista tanto da
                     suscitare persino le ire furibonde di Karl Marx che gli indirizzò un'infuocata critica al
                     suo "Sistema delle contraddizioni economiche o filosofia della miseria" del 1846.

                     Come non passeranno alla storia le polemiche raffinatamente puttanistiche (vedi
                     http://punto-informatico.it/p.asp?i=36162&p=1) di alcuni odierni personaggi sul
                     teatrino dell'opera buffa per la spartizione del bottino di regime sulle ultime leggi
                     sull'editoria e sul software, neppure il buon Prudhon sarebbe salito agli onori della
                     gloria per la semplice ragione di aver fatto saltare i nervi a Karl Marx, se nei suoi primi
                     anni spesi nella capitale francese non si fosse concentrato, per quanto lo si potesse in
                     mezzo a quell'intenso clima rivoluzionario, nei suoi studi di autodidatta scrivendo
                     alcuni brogliacci di memorie e un libro con oggetto: "Che cos'è la proprietà". Un'opera
                     vigorosamente antagonista pervasa da una semplice quanto efficace idea portante:
                     "La proprietà privata è un furto".

                     Prudhon, con una semplificazione estrema ma molto feconda, prospetta una netta
                     separazione tra l'idea originaria della proprietà quale possesso naturale dei mezzi di
                     produzione (ma oggi trasponendo nella società dell'informazione potremmo forse dire
                     delle capacità creative) e l'infrastruttura socioeconomica che tende a concentrare tali
                     mezzi nelle mani di pochi che li sfrutteranno al massimo.

                     Incredibilmente attuale, vero? Punto di arrivo della teoria che persino Karl Marx volle
                     edulcorare e contrastare è che, sottratta la proprietà individuale alla persona, sarebbe
                     stato necessario sulla base di un super-diritto di proprietà annetterla a corporazioni
                     estese anche al di là dei confini nazionali che, liberando l'individuo dal "peccato del
                     furto originario" lo rendesse veramente libero. Una condizione di massima armonia
                     sociale (!) che Prudhon identifica con una variante tutta sua di anarchia (a dire il vero
                     non molto credibile).
 

                                   Una delle linee portanti dell'attuale antipirateria è il sostegno
                                   incondizionato ad alcune "estensioni" di un concetto particolare di
                                   diritto di proprietà che, parlando in termini giuridici, risulta essere
                                   lontanissimo dai diritti cosiddetti "reali" (ovvero i primari diritti
                                   dell'essere umano): il diritto d'autore (che poi nell'accezione intesa
                                   dagli antipirati ha veramente poco a che fare anche con gli autori delle
                     opere d'ingegno ma è relativo piuttosto a chi intermedia e sfrutta questo lavoro).

                     Secondo queste moderne teorie estremistiche del
                     copyright, che attraverso un lungo e documentabile
                     lavoro di pressione sulle istituzioni legislative,
                     amministrative e giudiziarie, si stanno trasformando
                     nelle peggiori fonti di distorsione normativa dei nostri
                     codici penali (questo campo sembra essere l'unico
                     per cui un illecito civile viene punito, e pesantemente,
                     in sede penale), la proprietà privata di un bene
                     legalmente acquisito non è ragione sufficiente per
                     permettere all'acquirente di poterne disporre
                     liberamente, neppure tra le proprie mura domestiche.

                     Su molti dei pur costosissimi CD musicali, ad esempio, è oggi possibile leggere la
                     seguente dizione
                "RISERVATI TUTTI I DIRITTI DEL PROPRIETARIO DELL'OPERA
                     REGISTRATA". E ' l'etichetta di una strana concezione che unita alle ultime norme
                     emanate tende a far prevalere il diritto del *proprietario dell'opera registrata*, la casa
                     discografica (mai l'autore), e cioé chi vende il prodotto, al diritto reale del *proprietario
                     del disco fisico*, e cioé chi compra il prodotto, il quale non potrà far altro che accettare
                     supinamente le volontà del primo, come e quando gli verranno in mente!

                     Se da domani dovessero decidere che tra i diritti del proprietario dell'opera registrata
                     rientri quello di imporre l'ascolto solo di mattina prima di colazione, un clandestino
                     ascolto pomeridiano sarebbe una violazione di tale licenza d'uso. Già oggi
                     l'acquirente di un CD musicale non può, secondo molti teorici dell'antipirateria,
                     realizzarsene una copia per lo stereo dell'auto, o prestarlo ad un amico e, durante una
                     festa in casa, non potrà senza dubbio lasciarlo come sottofondo delle chiacchiere
                     della propria comitiva senza pagarne gli stessi diritti di esecuzione in pubblico a cui è
                     tenuta una discoteca.

                     Cosa ci riserva il futuro? Il campo delle licenze sul software proprietario in questo caso
                     è il modello. Licenze che prevedono che i software si possano installare su alcune
                     macchine sì e su altre no, o che si possano installare ma non usare
                     contemporaneamente, o che si debbano installare o deinstallare ad intervalli
                     prestabiliti, comunicando alla software house chi come dove quando e perchè si vuole
                     usare quel programma, esistono persino licenze di software classisti che non possono
                     essere usati da alcune categorie professionali particolari, di solito medici o fabbricanti
                     di armi, e poi programmi protetti da altri programmi, da chiavi hardware, sofware che
                     telefonano automaticamente per sapere quel tale giorno ci sono le condizioni
                     climatiche favorevoli per fornire i propri servizi.

                     Insomma un piccolo panorama di orrori in cui i diritti dei consumatori, nella migliore
                     delle ipotesi, sono stracciati con una noncuranza che va di pari passo solo al
                     colpevole lassismo delle istituzioni che dovrebbero tutelare i consumatori. Una
                     tendenza non più solo limitata al software. Già sono comparsi, infatti, libri elettronici di
                     fiabe sui quali, oltre al prestito e alla donazione, le licenze di distribuzione impongono
                     l'impossibilità di leggerli a voce alta. Secondo alcuni, questi fantasiosi impedimenti
                     all'uso di qualcosa che avete comprato e pagato in denaro sonante dovrebbero
                     essere limitati solo dalla contorsione mentale di quanti - senza avere mai dimostrato
                     un grammo di creatività propria, o avendola tutta spesa in queste ignobili creazioni -
                     vivono sfruttando tutto il possibile ritorno economico della creatività altrui.
 

                                   Mi rendo conto, come molti scettici lettori, che è semplicemente
                                   ridicolo pensare che queste violazioni siano minimamente perseguibili,
                                   pertanto più che ridicolo sembra inutile appellarsi a maggiori severità
                                   nel contrastare questi reati così pericolosi per l'ordine pubblico da
                                   necessitare le più severe forme di pena (qualcuno ha fatto notare
                                   come le pene per la riproduzione casalinga di software siano
                     comparabilmente maggiori di circa due ordini di grandezza rispetto ai reati di
                     corruzione politica, a parità di danno economico), eppure anche quest'urlo sguaiato si
                     è innalzato più d'una volta dalle bocche rabbiose degli antipirati, sempre pronti a non
                     fare distinzioni tra il "consumo individuale di prodotti pirata" e lo "spaccio in grande
                     stile". Le accuse di "furto", in questo campo, si sprecano. Fortunatamente una
                     distinzione, tra comportamenti individuali senza scopo di lucro e organizzati a scopo
                     di sfruttamento e commercio illegale, che almeno una parte della magistratura italiana,
                     e l'ultima legge sull'argomento della Comunità Europea, continuano ad aver chiaro
                     (ma per quanto ancora?).

                     Il diritto d'autore è, mi scusino i giuristi per la mia
                     estrema semplificazione della materia - ma solo
                     quanto dovranno avermi già scusato gli studiosi di
                     filosofia per l'altrettanto radicale semplificazione della
                     filosofia prudhoniana - il diritto d'autore, dicevo, è un
                     diritto secondario e un po ' posticcio attaccato lì per
                     (non si è bene ancora sicuri di quale) utilità sociale nel
                     tardo ottocento, ma concretizzatosi universalmente
                     solo durante il periodo odioso dei peggiori
                     nazionalismi oscurantisti che la prima parte dello
                     scorso secolo ci ha riservato.

                     Fa un po' senso, e racconta molte cose, ad esempio, vedere che questa legge della
                     Repubblica Italiana di cui gli antipirati tanto menano vanto rimane ben piantata su
                     quella del 1941 che inizia con queste solenni parole: "Vittorio Emanuele III Per grazia
                     di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia e di Albania Imperatore d'Etiopia Il senato
                     e la camera dei fasci e delle corporazioni a mezzo delle loro commissioni legislative,
                     hanno approvato; Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue..."

                     L'estensione estremistica, propugnata da questo aggregato di antipirati, di questo
                     diritto posticcio e contorto che tende a limitare la proprietà privata individuale a favore
                     di una sempre più vaga idea di proprietà intellettuale che assegna peraltro solo in
                     misura minima e trascurabile vantaggi agli autori ma soprattutto tende a lasciar
                     prosperare alcune organizzazioni non meglio identificate, sarebbe stato il sogno di
                     Pierre-Joseph, senza dubbio. Salterebbe dalla gioia scoprendo che qualcuno sia
                     stato in grado di inventare ed imporre un super-diritto positivo capace di mangiarsi a
                     colazione quello reale di proprietà, che nei diritti umani sembrava essere tra i più
                     inalienabili, e che organizzazioni transnazionali riuscano a gestire totalmente, fuori da
                     ogni controllo legale complessivo, la vita degli individui (perché nella società
                     dell'informazione chi controlla il flusso informativo controlla la vita individuale). Questo
                     copyright è il sogno felice del teppista-filosofo Prudhon.
 
 

                                   Però è il nostro incubo. Già dobbiamo fare i conti con delle cariatidi
                                   ingrassate che continuano ad essere la pesante eredità irrisolta che le
                                   istituzioni e leggi italiane hanno tutt'oggi con il ventennio fascista, come
                                   l'Ordine dei Giornalisti e la SIAE, nate sotto il fascismo e mai più
                                   riformate nella sostanza, ma di tornare alle fantasiose ed estremistiche
                                   elucubrazioni di un rivouzionario fallito del 1848 per mano della
                     congrega degli accoliti di alcuni dei più ricchi del mondo: no, scusateci, ma questo è
                     proprio insopportabile!

                     Se proprio vogliamo tornare alle rivoluzioni
                     facciamolo come si deve, allora. Come avvenne nel
                     1791 durante la Rivoluzione Francese, a cui la Storia
                     riservò forse miglior sorte dei vaneggiamenti
                     prudhoniani, facciamo in modo di garantire il diritto di
                     sfruttamento economico per soli cinque anni tutelando
                     fortemente il diritto di paternità dell'opera d'ingegno
                     contro il plagio. Tanto basta nella società
                     dell'informazione, dove cinque anni sono poco meno
                     di un'eternità, senza che questa tutela pensata per
                     garantire l'avanzamento culturale degli individui si
                     trasformi in quella odiosa forma sociale di servitù pratica e soggezione politica che le
                     recenti iniziative del fronte dell'antipirateria ha appena cominciato a farci intravvedere.

                     Emmanuele Somma

                     30 Maggio 2001 - "L'antipirateria dice: la proprietà privata è un furto!"
                     (c) 2001, Emmanuele Somma - Tutti i diritti riservati / All Rights Reserved
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                     dell'opera creativa, ed in particolare BSA, RIAA, MPAA, IIPA, FAPAV, FPM, SIAE e
                     Ordine dei Giornalisti. L'autore si riserva di agire in giudizio per tutelare i propri
                     interessi contro i "pirati" che non rispetteranno la licenza allegata a questo articolo. Il
                     Foro competente è quello di Roma. Questa è l'esplicita volontà dell'autore.
 

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