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L'agente provocatore: definizione

Per introdurre l'argomento oggetto di questo paragrafo appare opportuno riportare alcune definizioni:

" Una particolare forma di istigazione è quella realizzata dal c.d. agente provocatore: cioè colui il quale ( si tratta non di rado di appartenenti alla polizia) provoca un delitto al fine di assicurare il colpevole alla giustizia. Tale figura, sorta in origine come ipotesi di concorso morale sotto forma di istigazione qualificata, è andata nel corso del tempo ampliandosi fino a comprendere sia casi in cui l'agente provocatore assume la veste di soggetto passivo del reato (come nel caso paradigmatico della truffa), sia quelli in cui un soggetto si infiltra in un'organizzazione criminale alla scopo di scoprirne la struttura e denunciarne i partecipanti "[1] .

"…l'agente provocatore, cioè colui che, istigando od offrendo l'occasione, provoca la commissione di reati al fine di coglierne gli autori in flagranza, o comunque, di farli scoprire e punire. Trattasi, in genere, di appartenenti alla polizia i quali, così operando, mirano a rendere possibile la scoperta di un'organizzazione criminale o l'individuazione di un singolo delinquente. Ma, talora, anche privati agenti per fini di vendetta, per liberarsi di certe persone, per zelo giustizialista, ecc. Presente in tutti i tempi e luoghi, tale figura viene ampiamente utilizzata dal dispotismo monarchico e dal totalitarismo e dittature per scoprire, attraverso la polizia segreta e i delatori privati, anzitutto gli atteggiamenti di dissenso politico. Ma anche nei regimi democratici per la scoperta delle attività criminose" [2]

"Con la nozione di agente provocatore si intende, tradizionalmente, la figura di colui il quale, in veste di appartenete alle forze dell'ordine od anche di privato cittadino, fingendo di essere d'accordo con altra persona, la induce a commettere un reato spinto dal movente di denunciare o far cogliere in flagranza o, comunque , far scoprire il provocato da parte dell'Autorità. Trattasi, cioè, di figura- storicamente nota sin dai tempi della rivoluzione francese, quando compito precipuo di tale funzionario era quello di acquisire prove a carico di soggetti che cospirassero contro il nuovo ordinamento statale - che si colloca dogmaticamente nell'alveo del concorso morale di persone nel reato sotto forma di istigazione." [3]

Tale figura non presenta un carattere omogeneo ed è utilizzata per abbracciare diverse situazioni: dall'infiltrato (colui che si associa ad un'organizzazione criminale al fine di scoprirne i partecipanti, gli scopi…) al c.d. falsus emptor (falso venditore) nell'ambito dei reati-contratto ( si pensi al finto acquirente di sostanze stupefacenti, alla cessione di materiale pedopornografico ex art. 14 della legge n. 269 del 1998…).

In queste situazioni il problema giuridico è quello di valutare se ed in quali termini l'agente provocatore possa essere chiamato a rispondere penalmente dei reati oggetto della sua istigazione o provocazione.

Le scriminanti (le cause di giustificazione) derivano dalla funzione pubblica esercitata dal provocatore.

La giurisprudenza più volte chiamata a pronunciarsi ha intrapreso sulla questione una strada più rigorosa di quella scelta dalla dottrina prendendo, in estrema sintesi, la seguente posizione:

1- la Suprema Corte tende ad escludere la responsabilità dell'agente provocatore quando si tratti di un funzionario di polizia, questo perché la condotta viene scriminata dall'adempimento ad un dovere art.55 c.p.p. e 51 c.p.

2- la stessa Corte, quando l'agente provocatore è un privato cittadino, ritiene necessario, perché la sua condotta venga scriminata ex art. 51 c.p.,che il suo intervento derivi da un ordine legittimo della pubblica autorità, cioè che il soggetto adempia fedelmente all'ordine ricevuto per tutto il tempo "dell'operazione".

La figura non entra in causa, al contrario, quando il proposito criminoso sia suscitato da, o determinato dal, provocatore al solo fine di vendetta o di lucro; inoltre, la condotta, sia esso agente pubblico o privato cittadino, per "scriminare" deve tradursi in una forma di indiretto o marginale intervento esaurendosi in un'attività di osservazione, controllo e contenimento delle azioni illecite altrui.[4]

Il comportamento, con le opportune premesse, di chi utilizza un "honeypot" non è paragonabile alla figura dell'agente provocatore per diversi motivi: il primo perché è cosa ben diversa abbassare le difese erette a protezione di un sistema informatico da parte di un privato dal proporre lo scambio di sostanze stupefacenti o di materiale pedopornografico in quanto, ad oggi, non costituisce reato possedere un sistema (non contenete archivi di dati personali…) senza tenere a livello massimo la protezione.

[Il problema, per fantasticare, potrebbe essere dell'eventuale vittima-honeypot ; quest'ultima, infatti, non potrà accusare l'attaccante di aver violato il proprio domicilio informatico perché non ha predisposto idonee misure atte ad impedirne l'accesso e a manifestare la volontà di non farvi accedere persone non autorizzate…ma ciò è un controsenso poichè l'honeypot è stato creato proprio per essere attaccato...]

Per concludere sul punto l'utilizzazione dell'honeypot da parte dei privati per fini di sicurezza non appare, per quanto esposto in precedenza, perfezionare la figura dell'agente provocatore o di una figura ad essa affine.

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NOTE

[1] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte generale, Terza edizione, Bologna (Zanichelli), 1995 ( ristampa con modifiche del 1997), 455.

[2] MANTOVANI, Diritto penale, Quarta edizione, Padova (CEDAM), 2001, 553..

[3]GIOVANNI ABBATTISTA, Agente provocatore: profili di responsabilità, con riguardo anche alla posizione del falsus emptor e del soggetto provocato, in AA.VV., Studi di diritto penale ( a cura di Caringella -Garofoli), Milano (Giuffrè), 2002, 1237 e 1238.

[4] GIOVANNI ABBATTISTA, Agente provocatore, op.cit., 1238 ss.

 

 



 
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